Gian Guido Tara è un professionista del Fashion. Dopo 30 anni in Italia presso aziende di altissimo livello, dal 2011 lavora nei pressi di Shanghai. Questo il suo contributo per capire meglio il Celeste Impero.
“Da circa 10 anni il mondo economico è fortemente concentrato sulle enormi potenzialità della Cina. È un dato di fatto che 1.400.000.000 individui che hanno armadi e case vuote, possano rappresentare un eccezionale mercato; ma spesso le aziende non considerano nella corretta prospettiva questa opportunità. La Cina non è un mercato facile. Le differenze culturali spesso scavano un solco profondo fra le reciproche aspettative. Le abitudini del popolo cinese sono ben lontane da quelle di un normalissimo cittadino occidentale.
La crescita industriale dell’Occidente degli ultimi 150 anni è andata di pari passo con una crescita culturale. La rivoluzione industriale ha rappresentato non solo un rivoluzionario approccio al lavoro, ma ha costretto tutte le persone ad un modo di vivere più moderno e diversamente consapevole dal passato. In Cina invece si è passati in soli 30 anni, con l’esperimento di Shenzhen, da una cultura agricola ad una cultura del consumismo, senza i necessari steps intermedi. Il risultato: ” un popolo di medievali con l’iPhone “.
Non si legga in questa frase nessun tipo di critica negativa. Semplicemente esprime bene la Cina di oggi: una moltitudine di persone alla ricerca di oggetti occidentali di vita moderna, ma senza possedere la benché minima cultura sul loro valore.
Questo produce come primo effetto , il fatto che in Cina (ma succede ancora anche da noi) i consumatori siano fortemente attratti da oggetti con un Brand iper-conosciuto. Affacciarsi su questo mercato è infatti più facile se si possiede un Brand molto conosciuto in Occidente. Si può provare anche con prodotti in cui il “prodotto ben fatto, il rapporto qualità prezzo ” siano ottimali, ma al cinese questo interessa poco. Anche il Made in Italy non ha un così forte richiamo come si crede. Se è affiancato ad un Brand molto riconosciuto (Ferrari, Prada, ecc.) allora contribuisce all’appeal del prodotto, ma se è affiancato a nomi meno conosciuti o se si pensa che da solo possa essere una leva per la vendita, si commette un errore. I cinesi non vedono il Made in Italy come un sinonimo di elevata qualità, anzi sono convinti che i prodotti dei nostri cugini di oltralpe, siano decisamente migliori.
Ciononostante la Cina può essere un’opportunità per le nostre aziende. Ci vuole però impegno in termini di risorse umane e soprattutto di tempo. E questo andrebbe fatto non solo pensando a Shanghai o a Pechino ma concentrandosi fortemente anche sulle innumerevoli città di “provincia” (io vivo in una di queste ed ha 6.000.000 di abitanti) che rappresentano la vera Cina, il vero mercato da conquistare. “